Recensione di Mariangela Giusti
L’attesa dell’alba è un romanzo che tratta un argomento molto attuale e difficile. Lo fa attraverso una vicenda che coinvolge pochi personaggi, ma tutti molto complessi, sfaccettati e dalla personalità articolata e profonda. Conosciamo, infatti, i membri di una famiglia dell’alta borghesia intellettuale romana: una figlia ventenne (Francesca) e due genitori nel pieno della vita e molto innamorati l’uno dell’altra (Sandra e Alberto). Conosciamo anche un avvocato, Filippo Santini, scapolo, molto brillante, tutto preso dal suo lavoro, appassionato della corsa e affezionato al padre ultraottantenne, che, nella sua vita attiva, per tanti anni era stato magistrato. Ci sono poi altri personaggi che si muovono sullo sfondo della storia, con ruoli più o meno importanti, ma del tutto marginali.
La vicenda si svolge a Roma, nelle strade e nelle piazze caratteristiche e conosciute anche dai non romani (Campo de’ Fiori, Villa Pamphilj...) e, in particolare nei primi capitoli, si svolge dentro al "Palazzaccio", il Palazzo di Giustizia di Piazza Cavour, nel quartiere Prati, dove ha sede la Corte Suprema di Cassazione. L’autore del libro, Francesco Caringella, ci racconta il suo mondo, cioè quello delle aule di tribunale, dove ha lavorato realmente per tanti anni come commissario di polizia e come magistrato.
La lettura delle pagine iniziali del romanzo fa intendere al lettore di trovarsi dentro a una storia intrigata del “genere poliziesco”. Diversi brevi capitoli, infatti, sono dedicati a raccontare con precisione e con pathos lo svolgimento di un processo in Cassazione (nel Palazzaccio, appunto) contro un quarantenne, presunto assassino di una giovane ragazza “solare e benvoluta da tutti, trovata accasciata sul letto con la gola tagliata” (pag. 31): un femminicidio. La ricostruzione della requisitoria dell’accusa e l’accuratezza con cui è riportata nelle pagine del libro la difesa appassionata dell’avvocato Filippo Santini sono talmente precise, ampie e coinvolgenti che il lettore si appassiona subito alla storia. Immaginiamo che quella vicenda (cioè il crudele femminicidio iniziale) sarà poi sviluppata dal narratore nelle pagine successive del romanzo. Invece non è così e, nel giro di pochi capitoli, cresce l’interesse e la curiosità per i nuovi argomenti trattati.
Dunque L’attesa dell’alba non si colloca affatto nel genere poliziesco, cioè non è una storia di crimine, di indagini, di forze dell’ordine che affrontano omicidi (o rapine o furti); e non è neppure un giallo, cioè una storia centrata sulla risoluzione di un mistero o di un omicidio, con l'uso della logica e della deduzione di un investigatore o di un avvocato.
L’iniziale processo in Cassazione è funzionale solo a farci conoscere da vicino l’avvocato Santini, la passione per il suo lavoro, la sua dedizione per la difesa dei diritti delle persone e la sua vita che si muove fra le aule del tribunale e il suo studio privato. Infatti è proprio in studio che la segretaria gli comunica la visita di una cliente inattesa, che chiede di essere ricevuta per una questione gravissima senza aver preso appuntamento. La cliente misteriosa è Sandra che, seduta alla scrivania di Filippo, senza troppo indugiare, gli chiede un aiuto legale per aiutare il marito Alberto a procurarsi l’eutanasia. Ecco l’argomento centrale del libro: la possibilità o meno, per un essere umano pienamente consapevole e in grado di ragionare, di decidere di porre fine alla propria esistenza. Fra le lacrime, la signora spiega che, in seguito a un incidente con la moto, da ben cinque anni il marito è bloccato in un letto, impossibilitato a fare qualsiasi movimento, in preda a dolori fortissimi e in una condizione di progressivo peggioramento giorno dopo giorno. La richiesta della cliente Sandra De Santis lascia interdetto l’avvocato Santini: non riesce a dare subito una risposta, non se la sente di prendere in carica questo nuovo impegno professionale. Resta nell’incertezza, ma è colpito dalla vicenda di dolore e di diritti richiesti che gli è stata raccontata. Da questo colloquio a due, di fronte alla scrivania dell’avvocato, il romanzo di Francesco Caringella cambia di tono: diventa quasi un romanzo filosofico. Filippo, infatti, cerca di raccogliere opinioni e pareri su una questione che sente più grande di lui: si confronta con il suo vecchio professore di Università, cerca un confronto con suo padre (per tanti anni magistrato e acuto conoscitore della legge); consulta gli articoli dei Codici, ma legge ma anche testi filosofici di approfondimento, al fine di esaminare la questione da vari punti di vista. Non è in gioco solo il diritto, cioè la validità o l’assenza delle leggi. È chiamata in causa l’etica, le domande su cosa è giusto e cosa non è giusto fare. Non possiamo anticipare qui l’esito del romanzo. Diciamo solo che l’autore accompagna il lettore all’interno di una giungla legislativa e etica che, anche se non vogliano pensarci, riguarda molto l’attualità di oggi e anche ciascuno di noi.