Recensione del libro: "Patrilineare, Una storia di fantasmi" Premio Letterario Pozzale Luigi Russo

Enrico Fink
"Patrilineare, Una storia di fantasmi" Lindau 2025



Recensione di Mariangela Giusti

Fra Firenze e Ferrara (fra l’Arno e il Po, come scrive l’autore) si svolge la vicenda narrata in questo ampio romanzo autobiografico di Enrico Fink. Patrilineare racconta una vicenda reale e immaginaria (fatta di ombre e fantasmi, appunto!), che intreccia la vita quotidiana di un giovane trentenne musicista con le memorie vive e altrettanto reali legate al passato della sua numerosa famiglia ebrea e alle deportazioni subite durante il nazifascismo. Il protagonista del romanzo è Elias (alter ego del narratore): è originario di Ferrara, è profondamente legato a quella città e conduce la sua vita vivendo da solo in un piccolo appartamento di Firenze per una scelta di autonomia dai genitori e dal nucleo familiare. Si muove spesso col treno o con la macchina fra queste due città e verso tante altre località italiane dove si esibisce come musicista nelle discoteche alla moda. In questo muoversi frenetico, Ferrara si propone, fin dalle prime pagine del romanzo, come la città- protagonista: il lettore incontra più volte il Castello Estense, la grande Via Mazzini, la Sinagoga, i luoghi della Comunità ebraica, le case tipiche antichissime fatte di mattoni rossi (con i giardini segreti, chiusi e misteriosi al loro interno) e i vicoli sempre più stretti, dove si svolge la vita dei ferraresi. Ferrara vive certo nella modernità, ma conserva intatta la memoria delle vicende del passato legate alla guerra e ai suoi orrori, come l’eccidio degli undici uomini (cinque ebrei, cinque partigiani e un passante) assassinati vicino al Castello dalle brigate fasciste e le sparizioni di tante famiglie deportate, delle quali da un giorno all’altro nessuno aveva saputo più nulla, sterminate poi ad Auschwitz-Birkenau e in altri campi di concentramento.

Ferrara e la casa di famiglia affacciata su Via Mazzini sono al centro del romanzo. Quella casa, che ha visto passare e vivere al suo interno tante generazioni, un po’ per volta è vissuta di nuovo da Elias in seguito alla scomparsa dell’anziana nonna. La casa che, dopo il lutto, appare troppo grande, troppo difficile da capire e da gestire, un po’ per volta, giorno dopo giorno, torna a essere sempre più presente nella mente e poi nella vita stessa del protagonista. Per Elias diventa quasi un precetto (quasi un dovere a cui non si può sottrarre) ricollegarsi a ciò che quella casa rappresenta e riappropriarsi della sua pochissimo coltivata identità ebraica. E’ la casa stessa che lo accoglie, lo incuriosisce e gli parla attraverso tutto ciò che conserva: la soffitta, i passaggi segreti, i sottosuoli, l’uscita verso il giardino. Fra le pagine più belle del romanzo ci sono quelle dedicate alla descrizione della casa: ogni stanza racconta qualche storia di vita, ogni parete conserva testimonianze di coloro che (adolescenti, giovani, uomini e donne nel pieno della maturità, anziani) un tempo facevano parte della grande famiglia Fink-Bassani e che d’improvviso furono fatti sparire verso destinazioni ignote e mai più ritornati: “[…] la casa è vasta, più nuclei familiari vi hanno abitato un tempo […] Alle camere si aggiungono luoghi più nascosti, a cui Elias ancora dopo una settimana non ha avuto il coraggio di avvicinarsi”. La casa diventa come un grande luogo di mediazione: è da lì che Elias inizia a ricercare i fili della sua storia. Vuole raccogliere dai pochi testimoni ancora in vita le trame della forte identità della sua storia familiare, che prende avvio dal bisnonno ebreo arrivato dalla Russia a Gorizia, che passa dal nonno e dal padre, fino ad arrivare a lui stesso e a quel poco che conosce della sua cultura e della sua religione. Dai racconti raccolti (attraverso gli appunti e il registratore) cresce in Elias una presa di coscienza nuova e consapevole. L’incontro e la prima conversazione come fra amici con il giovane rabbino della Sinagoga di Ferrara gli fanno comprendere che la storia non si è affatto interrotta: ora è lui il testimone; spetta a lui il compito di raccontarla ancora e di proseguirla.