Recensione di Mariangela Giusti
La lingua che parliamo è contemporaneamente un bene personale e collettivo: il libro di Vera Gheno ci porta a riflettere su questi temi, partendo dall’idea che una maggiore consapevolezza verso ciò che c’è dietro al nostro parlare quotidiano è utile a tutti, non solo agli specialisti. La parola che dà il titolo al libro (Grammamanti) indica coloro che sono innamorati delle parole e l’autrice lo è, anche in virtù del suo lavoro: ha lavorato, infatti, per vent’anni all’Accademia della Crusca, è una ricercatrice sociolinguista e ha un interesse spiccato per tutto ciò che riguarda le lingue. Il libro si articola in diversi saggi di varia lunghezza che interrogano il lettore (e forniscono risposte) su domande come: Perché parliamo? Cos’è la lingua? Come si evolve? Quali potenzialità contiene la nostra conoscenza linguistica? Quanto è centrale la parola nella nostra vita?
Sono domande sulle quali non ci soffermiamo mai a riflettere e il libro rappresenta un buono stimolo per comprendere che tutte le lingue (nel mondo oggi sono ben settemila!) hanno delle regole fisse, ma sono anche “creative” perché gli esseri umani sono inventori di parole, nominano la realtà e nominandola la rendono comprensibile e raccontabile. Eppure a volte restiamo perplessi di fronte a parole che non comprendiamo (neologismi, giovanilismi, forestierismi...), senza pensare che il lessico è la parte più mobile di una lingua, quella che cambia più facilmente e che è in continua espansione. Oltre tutto, l’autrice ci ricorda che quando una lingua smette di coniare nuovi termini per nuove cose e nuove sensazioni, la comunità dei parlanti inizia a rivolgersi a un’altra lingua. Allo stesso modo, capita di abbandonare parole che non ci servono più, perché riguardano opere, azioni, gesti, lavori obsoleti. Anche la morte delle parole è fisiologica, dunque.
Il primo saggio del libro (La specie che parla) tratta di come gli esseri umani hanno iniziato a parlare. A quale stadio dell’evoluzione del linguaggio si può parlare di lingua? Secondo alcuni studiosi ciò è avvenuto 250mila anni fa, secondo altri 160mila, secondo altri ancora 100mila o 60mila anni fa. Vera Gheno sintetizza in maniera colta e allo stesso tempo comprensibile le varie teorie sull’emersione del linguaggio. Secondo alcuni il linguaggio è nato per imitazione dei suoni naturali; altri studi ritengono che il linguaggio sia nato per il bisogno di comunicare emozioni elementari; oppure per la necessità di coordinare alcuni lavori faticosi da fare in gruppo; oppure dall’abitudine di pronunciare cantilene e melodie per socializzare.
Sta di fatto che la parola ci ha reso (e ci rende) animali narranti e narrati e le narrazioni sono importanti nelle nostre esistenze; la parola modifica la realtà che ci circonda e il nostro rapporto con noi stessi e con gli altri. Tutto è mediato dalla parola; anche le scienze esatte (matematica, astrofisica, meccanica...) sarebbero nulla senza la parola. La parola ci consente di rivivere il passato, di esistere nel presente, di immaginare il futuro perché gli esseri umani sviluppano in parallelo il linguaggio e le memorie della vita. Siamo l’unica specie vivente sul pianeta Terra che ha la possibilità di richiamare il passato con il racconto.
In un altro saggio del libro l’autrice fa riflettere i lettori sul fatto che l’emersione del linguaggio si replica poi in ciascun individuo che conquista la parola. Ciascuno di noi, infatti, a seconda di dove nasce, ha la possibilità di imparare qualunque lingua come lingua madre o anche più di una, se vive in un contesto familiare multilingue. Nasciamo con un apparato fonatorio adatto a parlare, ma è necessario l’aiuto di chi ci circonda e ci parla. Infatti, non impariamo a parlare se le persone che abbiamo intorno non si rivolgono a noi e non interagiscono con noi. Attraverso gli “atti relazionali di parola” un po’ per volta quasi senza sforzo impariamo a parlare grazie all’aiuto degli stimoli che ci arrivano. E quanto più gli stimoli a parlare sono ricchi, tanto più ne guadagna lo sviluppo della nostra facoltà di parola; più le persone che ci circondano ci rivolgono le loro attenzioni (cioè ci vogliono bene) più il linguaggio si arricchisce. Da qui il suggerimento di Vera Gheno ai suoi lettori di non lasciare per troppe ore le piccole menti dei bambini davanti a uno schermo (per quanto il programma possa essere intelligente) perché i “cuccioli” dell’uomo hanno bisogno di attenzioni, affetto e parole di altri esseri umani. Da ciò segue che ciascuno di noi ha un proprio idioletto unico e irripetibile, cioè l’insieme delle caratteristiche linguistiche personali che si formano attraverso tutte le esperienze che ciascuno ha fatto e fa continuamente. Non esistono due persone che abbiano lo stesso “corredo” di parole: il nostro idioletto è singolare come il nostro DNA.
Ogni parte del libro offre stimoli a riflettere e tanti contenuti sugli argomenti più vari: per esempio, una parte interessante riguarda la lingua italiana (“una lingua ricca, che al momento si dimostra in grado di rispondere ai bisogni della comunità che la parla”); altre pagine trattano dei linguaggi degli adolescenti, quasi “incomprensibili ai vecchi” perché sono “lingue di rottura con le generazioni precedenti”; altre ancora partono dal termine “inclusività” per approfondirlo e ampliarlo.
In uno dei saggi del libro l’autrice racconta la sua autobiografia linguistica molto originale: madrelingua italiana (da parte di padre) e ungherese (da parte di madre), parlante inglese, finnico (la lingua parlata in Finlandia) e veneto. Una bella varietà. Solo divenendo adulta si è resa conto dell’importanza di questa pluricompetenza linguistica che le è servita anche nel lavoro (è traduttrice dall’ungherese) e per appassionarsi alla sociolinguistica, una disciplina universitaria che studia i rapporti fra le condizioni sociali e gli usi linguistici dei parlanti.
Il libro termina con una serie di consigli che l’autrice lascia ai lettori affinché imparino a innamorasi della lingua che parlano. Fra questi ricordiamo il consiglio di frequentare tanti tipi di testi (letteratura alta e popolare), di seguire serie televisive e film in lingue originali (anche lingue sconosciute e lontane...), di frequentare le lingue dei fumetti, dei saggi, delle poesie.... Un altro consiglio è di non nascondere né oscurare le lingue e i dialetti che si conoscono. Ciò è importante anche per chi ha un retroterra migratorio: infatti più lingue si conoscono e si parlano, più ampia sarà la ricchezza espressiva.