Recensione del libro: Volga blues Premio Letterario Pozzale Luigi Russo

Marzio Mian
Volga blues Feltrinelli 2024



Recensione di Mariangela Giusti


È molte cose Volga Blues di Marzio G. Mian. In primo luogo, è un esempio di fenomenologia del viaggio: il viaggio come descrizione accurata, come scoperta progressiva che avviene nel suo svolgersi grazie alla scrittura, registrazione fedele dell’esistere. È anche un racconto autobiografico perché il narratore/protagonista si mette alla prova e in tante circostanze rende esplicite le sue emozioni profonde (paura, tenerezza, nostalgia…). Il libro è anche un reportage giornalistico originale che consente ai lettori di conoscere da vicino qualche elemento paesaggistico, sociale, antropologico di una parte di mondo misteriosa e pochissimo nota. Infine, Volga Blues è anche un trattato di geopolitica perché l’autore affronta con competenza e ricchezza di materiali tanti interrogativi del nostro presente, generati dall’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo.
Volga Blues racconta il viaggio che Marzio Mian (giornalista d’inchieste) e Alessandro Cosmelli (fotografo di guerra) hanno compiuto, in quattro settimane, muovendosi con un van noleggiato (accompagnati da Katia e Vlad, due guide russe) dalla sorgente del Volga fino alla sua foce nel Mar Caspio, per un percorso di tremilacinquecento chilometri.
Il Volga è uno dei fiumi più lunghi della Terra e il più lungo d’Europa: con una portata d’acqua sterminata attraversa centinaia di territori diversi, dove vivono popolazioni che parlano lingue che non si comprendono fra loro. Ma per i russi, il Volga è molto più di un fiume: è l’energia della patria, è come una grande divinità laica che conserva in sé e tramanda l’identità di tante popolazioni diverse (tartari, cosacchi, ugro-finnici, calmucchi, ciusvasci, nomadi…), con religioni diverse: cristianesimo ortodosso, ebraismo, islam, cristianesimo.
Il libro di Mian fa conoscere tante immagini della Russia di oggi attraversata dal Volga: un Paese calato nella modernità e profondamente radicato nel passato e nella forza delle tradizioni. Attraverso il racconto minuzioso del suo viaggio nei territori sconfinati della Russia, l’autore propone ai lettori anche tanti punti di vista sul conflitto russo-ucraino, raccolti dalla viva voce dei testimoni durante il percorso. Sono parole, opinioni, visioni del mondo di uomini e donne in carne e ossa, incontrati nelle piazze, nelle strade, nei bar della vodka, nelle loro abitazioni, nelle chiese, sui battelli e nei luoghi iconici della storia russa recente: mausolei e cimiteri di guerra dove sono sepolti i tanti giovani soldati russi caduti nel conflitto in corso. Alcuni testimoni ascoltati hanno giustificato pienamente l’azione militare intrapresa dalla Russia contro l’Ucraina in nome di una “sacra fratellanza” ancestrale fra i due popoli che, per nessun motivo, non deve essere incrinata dall’ingerenza dell’Occidente. Al contrario, le voci di altri testimoni raccolte da Mian criticano ferocemente la guerra intrapresa da Putin e ne auspicano una fine vicina. Al di là di queste posizioni estreme, la maggior parte delle persone che ascoltiamo leggendo Volga Blues non sanno spiegare le ragioni della guerra, né sanno prevedere come finirà, cioè se il conflitto si estenderà ancora di più.
Il libro, dunque, parlando di un viaggio di scoperta e conoscenza lungo il corso del Volga, parla della Russia sociale, antropologica e politica di oggi: una sola nazione formata da tanti popoli, che proprio sul Volga s’incontrano.
Il grande fiume segna il confine fra i due continenti: Europa e Asia. Sul Volga si creano tanti punti di contatto e altrettanti punti di divisione. Per questo motivo, leggere Volga Blues fa tornare alla memoria l’importante libro Danubio di Claudio Magris, uscito alla fine degli anni Ottanta del Novecento. Danubio descriveva il paesaggio culturale del grande fiume Danubio che attraversa l'Europa centrale per quasi tremila chilometri. Magris raccontava un viaggio reale attraverso la cultura mitteleuropea, con tanti riferimenti ai mondi germanico ed ebraico come fondanti la civiltà europea. Invece, nel racconto del viaggio di Marzio Mian lungo il corso del Volga, i popoli, le culture, le lingue, le religioni s’incontrano sì, ma restano come separate, impermeabili le une alle altre. E Mian è abile nel raccontare questa diversità così tanto radicale, che spaventa chi non è russo perché è difficile riuscire a interpretare i segnali espliciti e impliciti che provengono da chi s’incontra. Infatti, da parte dei due reporter (Marzio e Alessandro) c’è (paradossalmente!) la sensazione costante del “sospetto” persino nei confronti di una delle loro due guide (Katia), entrambe pagate per essere fidati accompagnatori (e facilitatori) durante il viaggio.
Per chi vive in Europa occidentale, la Russia, dopo l’invasione dell’Ucraina e la guerra in corso, è diventata un Paese ancor più lontano di quanto non lo fosse prima. Marzio Mian e Alessandro Cosmelli sono penetrati in un territorio ignoto; hanno avuto il coraggio di attraversare città misteriose e affascinanti seguendo il corso del Volga senza nessun visto giornalistico. Più d’una volta hanno rischiato di essere sottoposti a interrogatori (sospettati di essere spie) e arrestati. Nonostante ciò, hanno fatto domande, hanno ascoltato e registrato le voci delle persone, hanno scattato foto, si sono commossi di fronte alla bellezza dei paesaggi. E hanno anche sperimentato il panico, mettendo a rischio la loro stessa vita.