Recensione del libro: Perduto è questo mare Premio Letterario Pozzale Luigi Russo

Elisabetta Rasy
Perduto è questo mare Rizzoli 2025



Recensione di Mariangela Giusti

Ci sono tanti riferimenti alla cultura degli ultimi cinquant’anni in questo romanzo di Elisabetta Rasy, soprattutto a film e a libri. È un romanzo centrato su vicende familiari e molto personali, ma che porta a riflettere sulle tante speculazioni edilizie che hanno trasformato le meravigliose costiere meridionali italiane negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso. Sono rammentate tante località (Palinuro, Positano, Fuenti, Capri, Napoli, ecc.) dove una speculazione edilizia senza legge e senza freni trasformò letteralmente le coste e i paesaggi. Il romanzo Perduto è questo mare è una storia familiare, dichiaratamente autobiografica, che racconta di una famiglia degli anni Cinquanta che all’origine viveva a Napoli in una rete di parentele e amicizie tipiche della media borghesia cittadina. In seguito, per volontà della madre, la famiglia si divide: la madre e la figlia adolescente andranno a stabilirsi a Roma (apparentemente solo per poco tempo, in realtà per sempre), mentre il padre resterà da solo nella vecchia abitazione napoletana. Questa solitudine fa sì che un uomo pieno di vigore e di fascino si trasformi piano piano un un uomo sempre più spento, sempre più ripiegato su se stesso e sulla sua vita sempre più vuota. Tutto il romanzo è costruito sulla volontà dell’autrice/protagonista di ricostruire un rapporto di memoria con la figura paterna che, per i fatti della vita, è stata perduta e dimenticata anche da lei per molti anni.

In questo tentativo complesso e difficile di ricostruzione e di ritessitura, l’autrice si muove in parallelo raccontando la sua amicizia profonda durata trentacinque anni con un signore anch’esso napoletano e della stessa età di suo padre: lo scrittore Raffaele La Capria. Ecco dunque che la vicenda personale e intima della protagonista si colloca a metà fra uno sfondo sociale e di denuncia e uno scenario amicale che ha caratterizzato tutta la sua vita. Da una parte infatti c’è Napoli e la vicenda della speculazione edilizia sulla città stessa e su tante coste meridionali. Dall’altra parte c’è la ricerca delle memorie della figura paterna perduta, che passa attraverso il racconto dell’amicizia sempre più stretta con Raffaele, quasi che, attraverso di lui, l’autrice potesse mantenere un qualche contatto col padre, che per tutta la vita le è mancato.

Un filo rosso che attraversa tutto il romanzo è il riferimento al film Le mani sulla città del regista Francesco Rosi da una sceneggiatura dello stesso Raffaele La Capria. L’autrice vide il film da ragazzina e restò impressionata dal realismo con cui erano state rappresentate le vicende. Nel film (come nella realtà) un palazzo popolare della vecchia Napoli era stato fatto saltare in aria per costruire una vasta area di nuovi palazzi in aperto contrasto con quanto prevedeva il piano regolatore, tutto sotto gli occhi di una politica consensiente e collusa. Sia il romanzo di La Capria, sia il film di Rosi erano state opere di aperta denuncia di quanto stava avvenendo a Napoli, “una città di crolli e di voragini”, scrive Elisabetta Rasy.

Dunque il libro racconta sia la nostalgia per non aver potuto vivere l’adolescenza e la giovinezza accanto alla figura paterna, sia la tenerezza e l’amicizia disinteressata vissute per tutta la vita con Raffaele La Capria: quasi tutti i suoi romanzi, infatti, sono citati nel libro, così come tanti aspetti della sua personalità e della sua vita familiare con la moglie e la figlia. Un romanzo complesso Perduto è questo mare, che da una storia di vita fa scaturire interrogativi e prese di posizione contro l’abitudine diffusa di costruire in spregio all’ambiente, facendo trasformare anno dopo anno i paesaggi, le coste, la bellezza e la magia del mare.