Recensione di Mariangela Giusti
È un libro ampio e documentato Narrare l’Italia. L’autore, Luigi Zoja, è uno psicanalista junghiano, interessato a ricercare e a far emergere quello che lui chiama (con terminologia junghiana, appunto) l’inconscio collettivo o, per usare un termine dell’antropologia, la cultura italiana. Il testo ha un approccio storico molto marcato, con citazioni frequentissime e rimandi a opere di storici italiani, inglesi e francesi. Dalle notizie certe riprese dalle sue fonti storiche, artistiche e letterarie, Zoja costruisce una narrazione personale delle vicende italiane dalla Roma antica al Novecento. L’autore non intende introdurre interpretazioni nuove dei fatti storici: il suo obiettivo è creare un filo narrativo che dia origine a un’immagine “narrata” del territorio italiano e dei suoi abitanti. Le pagine infatti prendono avvio dalla fondazione di Roma e proseguono attraverso il Medioevo, il Rinascimento, il Risorgimento, il periodo coloniale dell’Italia in Africa, la seconda guerra mondiale e il dopoguerra.
Luigi Zoja mostra nei fatti che esiste una forte identità italiana legata in primo luogo al territorio, alla sua conformazione geografica di penisola protesa nel Mediterraneo: “la sua geografia ha più importanza che per altri paesi”, scrive l’autore. In questa insolita conformazione di penisola allungata, nel Rinascimento l’Italia fu molto divisa (perché erano tante le città importanti e spesso in lotta fra loro), ma fu anche un “Paese grande”, che primeggiò nel mondo per la sua cultura (la pittura di Giotto, le opere di Dante e di Petrarca) e per la sua economia. A Bologna l’Università (fondata nel 1088) fu una delle più antiche al mondo; a Salerno fu attiva una Scuola di medicina già dal IX secolo. In queste città arrivavano studenti da paesi lontanissimi per studiare. Nel 1400 e 1500, nel pieno Rinascimento, l’Italia era il primo paese europeo sul piano culturale, ma anche in termini di “reddito pro capite”. Gli storici dell’economia (che oggi dispongono di strumenti di analisi sofisticati e precisi per studiare i fenomeni del passato) affermano che le città italiane avevano una ricchezza superiore del 60/70% rispetto alle città degli altri Paesi europei. Poi, fra il Rinascimento e l’Ottocento crebbe a dismisura il nazionalismo, fino al punto di far ritenere a coloro che appartenevano a una certa etnia di essere superiori rispetto agli altri. Da qui nacquero le grandi guerre e le tragedie del Novecento.
Nei trenta capitoli del libro, Zoja ripercorre la storia dell’Italia e il carattere degli italiani. Nei secoli l’Italia sorprende perché gli eventi importanti della cultura, dell’arte e dell’economia sono accaduti in tante città e paesi (non solo nelle grandi capitali come in Francia, per esempio). Questa è di sicuro una caratteristica italiana: sono tanti (in passato come oggi) i centri di medie e piccole dimensioni che hanno creato nel tempo una propria economia e una propria cultura. Tutto ciò ha dato luogo a un substrato importante che ha conferito un “carattere” originale agli italiani. In Italia, tutto è “regionale”, tutto è locale, dice Zoja, e la cucina italiana è forse l’esempio più evidente di tale realtà: anche la cucina (come le tradizioni, i dialetti e la cultura) intende preservare ostinatamente le caratteristiche locali.
La ricostruzione del libro Narrare l’Italia si ferma al secondo dopoguerra e agli anni Sessanta con il “miracolo economico”. Zoja testimonia attraverso le sue fonti che esiste un passaggio dall’”eroismo” tutto di facciata che era stato propagandato e imposto negli anni del fascismo di Mussolini a “qualcosa di opposto”. Facendo perno sulla psicologia di Jung, Zoja avanza l’ipotesi di un “inconscio collettivo”. Dopo la seconda guerra, compare in Italia e si fa spazio la figura dell’”antieroe”, la persona umile e onesta, che si fa apprezzare per il suo modo di essere umile. L’italianità ha dato il meglio di sé, scrive Zoja, quando le persone hanno saputo essere umili: una virtù (l’umiltà), di cui ha parlato anche Dante, riprendendola dall’Eneide, il poema fondativo dell’Italia. Non a caso, nella ricostruzione di Luigi Zoja, l’Italia emerge nel dopoguerra con una nuova arte: il cinema del neorealismo di Rossellini, De Sica, Visconti. Nei personaggi e nei valori incarnati dagli attori e nelle vicende narrate da quei film la gente del popolo (pur essendo quasi analfabeta) vedeva le proprie vicende e vi si rispecchiava. Dal 1945 al ‘60 la ricchezza del nostro Paese furono i prodotti umili: la semplice “Vespa” pensata per i lavoratori (per spostarsi velocemente), le piccole auto Fiat 500 e 600, per la gente del popolo, e la Lettera 22, la macchina da scrivere costruita da Olivetti.