Recensione del libro: Campo dei fiori: storia di un monumento maledetto Premio Letterario Pozzale Luigi Russo

Massimo Bucciantini
Campo dei fiori: storia di un monumento maledetto Einaudi 2015



Bucciantini disegna la storia tormentata – ma a lieto fine - del monumento a Giordano Bruno, eretto nel 1889 in Campo dei Fiori, nel luogo in cui fu bruciato, ricostruendo gli ambienti e le iniziative che ne hanno resa possibile la collocazione, a partire da gruppi di studenti universitari romani, presto affiancati da studenti pisani, napoletani e di altre città, spesso non ben informati sulla figura e gli scritti del filosofo, ma mossi dal suo significato simbolico nell’ambito del laicismo postrisorgimentale, e contrastati dalle chiusure di un Consiglio Comunale, quello romano, a sua volta incapace di muoversi in maniera autonoma rispetto a una Chiesa arroccata.
Tali chiusure sembrano avere richiamato attenzioni e alleanze intorno all’iniziativa un po’ ingenua e certo infarcita di linguaggio retorico dei promotori, tra i quali un posto di spicco ebbe, come dimostra per la prima volta Bucciantini, l’esule francese Armand Lévy, di origini ebraiche e sfuggito alle persecuzioni dopo la tragica conclusione della comune di Parigi. Gli intellettuali e i più noti protagonisti del Risorgimento, a parte il generoso Garibaldi, fanno fatica a capire il possibile significato di quest’iniziativa, in un’Italia prosaica e in difficoltà di ogni tipo, alle prese con i primi governi della sinistra storica, cauti nei confronti di ogni iniziativa laica e con possibili componenti popolari. Poi, pian piano, arrivano le prime adesioni, e addirittura Labriola, chiamato a Pisa per parlare di Bruno agli universitari, si documenta, chiedendo consigli bibliografici al giovane Benedetto Croce.
Il Vaticano reagisce in modo goffo e scomposto, cerca di suscitare resistenze nei fedeli, e addirittura il segretario di Stato, dopo aver profetizzato disordini e violenze di piazza, offre biglietti ferroviari gratuiti ai Romani perché si rechino altrove in quel giorno di Pentecoste. Ma l’evento diventa una festa per masse di persone arrivate apposta a Roma, come testimoniano le numerose fotografie. Intanto, “raccolta e austera, lontana dalle rappresentazioni esteriori delle virtù eroiche, la statua” (opera di Ettore Ferrari) “induceva alle piccole virtù del silenzio e della riflessione, e forse anche per questo dava corpo a un’idea di cambiamento e di speranza.” (recensione a cura del Comitato Organizzatore)



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