Recensione del libro: 1960 Premio Letterario Pozzale Luigi Russo

Leonardo Colombati
1960 Mondadori 2014



Personaggi provenienti dalla storia e della cronaca e personaggi di finzione (tra i quali i più ridicoli e smargiassi militari del film di Monicelli “Vogliamo i colonnelli”) si affollano nelle quasi 400 pagine di questo romanzo, cui si aggiungono una sessantina di pagine di Note non numerate, che danno conto di citazioni e segnalano gli anacronismi voluti dallo scrittore. Il 1960 è l’anno delle Olimpiadi di Roma, e la presenza di un’adolescente di nome Olimpia, figlia di un ufficiale dei servizi segreti, è poco più che il pretesto per una rete di connessioni con altri elementi dell’epoca: le tensioni governative che portarono ai morti di Reggio Emilia, con le manifestazioni di Genova e altre città, e le cariche a cavallo a Roma guidate dagli olimpionici D’Inzeo, i processi corruttivi e infettivi di una storia che ci riguarda ancora da vicino. Gli italiani, ma certo non tutti, assaporano migliori tenori di vita dovuti al boom economico, cercando di lasciarsi alle spalle non solo la guerra, ma le durezze fattive della ricostruzione; generali felloni ordiscono colpi di Stato, ricattano politici, non riescono a controllare fughe in avanti dei servizi, non solo italiani (variamente ma inevitabilmente deviati); i giovani tentano percorsi esistenziali inediti, ma vengono spiati anch’essi, come potenziali consumatori. E’ l’anno della Dolce vita di Fellini, e personaggi di quel film o a loro simili entrano ed escono dalla scena del romanzo, incontrandosi con atleti, scrittori, religiosi e politici. Ci sono anche molti interni, tra le ville ai Parioli e i condomini popolari, in cui si muovono famiglie e vite lontane, mentre emerge qua e là una colonna sonora che richiama i gusti e i tormentoni di quegli anni. In copertina, la foto di una Catherine Spaak al di qua, ancora, dal personaggio che la rese famosa, nel film tratto da “la Noia” di Moravia. Lo scrittore intreccia i molti percorsi del romanzo a volte con ironia, a volte suggerendo, con l’immagine metaforica del Minotauro, la pervasività dei misteri politici che hanno avvelenato la nostra storia democratica, spesso con qualche compiacimento per tutti i materiali messi in campo per costruire un romanzo ambizioso. (recensione a cura del Comitato Organizzatore)



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