Recensione del libro: La frontiera Premio Letterario Pozzale Luigi Russo

Alessandro Leogrande
La frontiera Feltrinelli, 2015



Il Mediterraneo è una frontiera instabile, “spostata” a sud per poco più di un anno, con l’attivazione dell’operazione “Mare nostrum”, in seguito al tragico naufragio nei pressi di Lampedusa del 3 ottobre 2013. Piuttosto che il controllo delle frontiere, la finalità degli interventi era all’epoca garantire la salvaguardia delle vite in mare ed arrestare gli scafisti.
Conclusa questa onerosa “operazione”, non è stato possibile se non constatare che «continua una strage silenziosa nel Mediterraneo, con i morti che sono più che raddoppiati nel 2015 rispetto al 2014: da 1600 a oltre 3200. Continuano le morti di bambini, dimenticate».
Alla denuncia della Fondazione Migrantes, dell’Agenzia per i rifugiati dell’Onu (Unhcr), fanno da contraltare i convulsi provvedimenti degli Stati europei volti a riesumare i confini nazionali ed innalzare nuovi muri della Fortezza Europa.
Ma che cosa spinge tanti uomini, donne, bambini, a lasciare la propria terra per un futuro incerto, affrontando un viaggio così drammatico, economicamente oneroso, costato anni di lavoro, di abbrutimenti e umiliazioni, spesso alla mercé di trafficanti di uomini?
Di troppi di questi profughi, delle loro vicende, dei loro corpi, rischia di non rimanere alcuna traccia, anche quando i familiari, affrontando ulteriori sacrifici, riescono ad affrontare a loro volta un viaggio, per venire a cercare le spoglie dei loro cari.
Alessandro Leogrande si oppone all’accettazione di questo oblio, di questa indifferenza. Giornalista, vicedirettore del mensile Lo straniero, ha scritto diversi libri sul fenomeno dell’immigrazione in Italia, in questi ultimi anni, come Uomini e caporali e Il naufragio, dedicato appunto al naufragio della motovedetta albanese Katër i Radës, speronata nel 1997 da una corvetta della Marina militare italiana, nell’attuazione delle politiche di respingimento allora adottate dal governo.
L’autore si propone di rintracciare alcuni degli innumerevoli profughi, raccogliendo le storie delle persone che, attraverso la loro testimonianza, faticosa, prendono un volto e un nome. Spesso è solo l’iniziale ad essere citata, per loro espressa volontà, nel timore di identificazione e ritorsione da parte dei servizi segreti dei Paesi di provenienza. Specialmente per gli Eritrei, questa minaccia si fa pressante. Questi sono anche i più soggetti ad essere ricattati, attraverso i familiari, perché fuggono dal proprio Paese. Perseguitati non di rado dallo stesso regime che, trasformatosi in seguito in dittatura, avevano contribuito a instaurare, dopo aver combattuto lunghi anni per potere garantire l’indipendenza dell’Eritrea dal Sudan, vengono a trovarsi in balia degli sfruttatori di uomini e più facilmente possono cadere nella rete dei trafficanti di organi, che ci sono prove siano in azione soprattutto nell’area del Sinai.
Sono terribili le storie recuperate dai sopravvissuti: sevizie, torture disumane, umiliazioni, orrore negli occhi e nella memoria. Spesso il tentativo di fuga dura anni, di Paese in Paese, col rischio di mettere a repentaglio anche le vite dei familiari, che si attivano per soccorrere i loro cari, in quello che dovrebbe essere il Paese che li tutela, o in Paesi stranieri.
In molti casi, l’esodo per mare non è che uno degli ultimi incubi, che queste persone devono affrontare. Le storie raccolte da Leogrande restituiscono dignità e attenzione a quanti rischiano di non essere ricordati se non in maniera indistinta, attraverso i numeri delle cronache sui giornali o il pregiudizio di versioni preconfezionate.
La narrazione del giornalista tende invece a porsi un passo indietro rispetto a chi ha vissuto eventi tragici, luttuosi; non cerca sensazionalismi, né di impietosire. Corrisponde a un debito di memoria e di rispetto, per chi arriva da straniero, privato quasi anche della propria storia e per chi è interessato a capire lo scenario in cui stiamo vivendo. (recensione a cura del Comitato Organizzatore)



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