“Leone è morto senza dire la sua ultima parola, senza dire addio a nessuno, senza
concludere la sua opera, senza lasciarci un messaggio. Per questo non possiamo
rassegnarci, né perdonare”
Norberto Bobbio
Leone Ginzburg rifiuta di giurare fedeltà al fascismo l’8 gennaio 1934. Pronunciando
apertamente il suo “no”, imbocca la difficile strada che lo condurrà a diventare un
prigioniero, un dissidente, un oppositore del regime prima, un valoroso esempio da seguire
poi.
«Illustre professore, ricevo la circolare del Magnifico Rettore, in data 3 gennaio, che mi
invita a prestare giuramento, la mattina del 9 corrente alle ore 11, con la formula stabilita
dal Testo Unico delle leggi sull’Istruzione Superiore. Ho rinunciato da un certo tempo, come
Ella ben sa, a percorrere la carriera universitaria, e desidero che al mio disinteressato
insegnamento non siano poste condizioni, se non tecniche o scientifiche. Non intendo perciò
prestare giuramento». Con questo messaggio il giovanissimo docente di letteratura russa
rifiuta di giurare fedeltà al Re e al regime fascista; è per onore e conservazione della propria
integrità morale, sentimenti altissimi, che Ginzburg perderà la cattedra e si vedrà negate
pensione e indennizzo. Su milletrecento professori, saranno solo in tredici a rifiutare.
Saranno tutti espulsi. Tra questi, Giuseppe Levi, di cui Leone sposerà la figlia Natalia.
Un combattente mite, incorruttibile e irriducibile che non imbraccerà mai le armi, ma
accenderà cuori con la forza della sua condotta. Confinato e sorvegliato, mentre l’Europa è
travolta dalla marcia trionfale dei fascismi, questo giovane intellettuale prende posizione
contro il mondo che lo circonda. Le sue uniche armi sono l’integrità e la letteratura. Insieme
a Giulio Einaudi e Cesare Pavese fonderà la casa editrice Einaudi, organizzerà la dissidenza
e costruirà la sua amata famiglia insieme alla moglie Natalia, a dispetto di ogni persecuzione.
Questa è la sua storia, dall’infanzia fino al giorno in cui è ucciso in carcere. Nel racconto di
taglio giornalistico e documentale, accanto a quella di Leone e Natalia, scorrono parallele le
vite di uomini comuni, i nonni dell’autore, persone semplici nate negli stessi anni e vissute
sotto la dittatura e le bombe della Seconda guerra mondiale. Dalla periferia rurale di Milano
ai vicoli di Napoli, le esistenze umili di operai e contadini, artisti falliti e madri valorose
entrano in risonanza con le vite degli uomini a cui sono dedicate pagine della Storia.
Accostando i singoli ai grandi eventi, attraverso documenti, fotografie e lettere, ricordi
famigliari e memoria collettiva, Scurati rievoca il nostro passato. Il suo è un racconto in cui
si stagliano figure esemplari con il loro lascito inestimabile e figure comuni, apparentemente
lontane. A poco a poco se ne scopre la profonda comunione: le nascite e le morti, i libri e i figli,
la vita privata che per tutti si attiene a una medesima trama, in cui riecheggiano fatti
memorabili e secondari e in cui la “Grande Storia” incontra le storie di noi tutti.
“La loro generazione, come scrisse Pintor, non ebbe il tempo di costruire il dramma interiore
perché trovò il dramma esteriore perfettamente costruito”, la nostra spende ogni santo
giorno a costruirsi un dramma interiore non avendo altro che quello. Loro giunsero alla
politica “quasi a malincuore, per il dovere dei tempi”, noi non siamo mai giunti alla politica
causa scadimento dei tempi. (recensione a cura del Comitato Organizzatore)
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