Recensione del libro: Il ciclope Premio Letterario Pozzale Luigi Russo

Paolo Rumiz
Il ciclope Feltrinelli, 2015



E' il racconto di un viaggio immobile alla ricerca di se stessi, di un'esperienza da eremita vissuta in una piccola isola del mar Mediterraneo, uno scoglio impervio, difficile da raggiungere, privo di insenature, di punti di attracco, ma dotata di una torre e di un faro magnifico fra i più alti al mondo, punto di riferimento indispensabile per le rotte delle navi e le comunicazioni fra oriente e occidente. Condivide lo spazio con il capitano, guardiano del faro e con il suo assistente. Il re dell'isola è un asino guercio a cui piacciono i limoni e che Rumiz battezza Kyklops , Ciclope, perché come il faro ha un occhio solo.
L'isola è ricca di vegetazione e di animali e questo dà la misura dell'abisso che ci separa dalla natura. In poco tempo si adatta alla solitudine del luogo, riconosce i venti, le costellazioni, accetta gli improvvisi mutamenti meteorologici. Nelle notti di tempesta quando il sonno si fa inquieto affiora l'inconscio, ma quel nuovo mondo fa paura perché sembra essere l'anticamera del dissolvimento. I due faristi quando sono liberi dal servizio, pescano sempre, fanno incetta di pesce, lo conservano nella cassa-frigo per venderlo una volta a terra. Il pesce però scarseggia a causa delle frequenti rapine e del sistematico sfruttamento da parte dell'industria ittica: i gabbiani costretti a cercare il cibo sulla terraferma sono diventati feroci, gli altri animali hanno paura e la natura non è più pacifica. In trenta anni il mar Mediterraneo ha perduto il 70% della sua ricchezza ittica, ma nessuno fa nulla: c'è un sistema che ci intontisce e non ci permette di capire che un gruppo di predoni sta divorando il mondo. Sull'isola tutto cambia rapidamente: i gabbiani mezz'ora prima del tramonto si mettono ad urlare per la scomparsa della luce, la nevera, una buriana breve ma improvvisa e pericolosa, sovverte l'ordine delle cose, tutto è imprevedibile: chi è ansioso e dipendente dallo smartphone non può vivere in questo luogo dove bisogna rassegnarsi ai silenzi, ai rinvii, alle attese, ma per chi cerca un rapporto simbiotico con la natura l'isola del Ciclope è una meraviglia. Quando arriva il giorno di lasciare l'isola, in perfetta sintonia con se stesso e la natura, salutato l'asino guercio, il nostro protagonista sale sul motoscafo senza mai voltarsi indietro. Il giorno successivo, giunto a casa, guarda il balcone alto sul mare e si accorge che anche la sua casa è un faro. (recensione a cura del Comitato Organizzatore)



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