Recensione del libro: La prima verità Premio Letterario Pozzale Luigi Russo

Simona Vinci
La prima verità Einaudi, 2016



“Si muore tante volte e pure di pomeriggio
Poi ci alza e si va, come se niente fosse.
Finché non sei morto, non hai da morire.”
C’è un mondo di fatti accaduti nel Tempo e c’è un mondo fatto di vite vissute e perdute; molte vite di
cui non si sa nulla, di cui non si serbano ricordi. Vite non raccontate. Vite di fantasmi.
C’è un tempo in cui sono accadute cose terribili, quel tempo è anche qui e ora. Una realtà fatta di
luoghi chiusi, di mura alte, di cortili e celle, di polsi legati ai letti, di urla e di torture, di cure sbagliate
e di incompetenza, di violenze e di abbandoni. Il mondo di chi è nato matto, di chi è diventato matto,
di chi è passato per matto, di chi non è stato capito; il tempo e il mondo dei manicomi lager, di posti
come Leros. Un’isola che, come tutte le isole, è insieme luogo misterioso e dove vigono leggi diverse
che sulla terraferma.
In questo territorio staccato dalla realtà aleggiano nuovi “fantasmi”, esseri privati della natura stessa
propria degli uomini. Il minimo comune denominatore di questi fantasmi è la malattia psichiatrica,
la pazzia. A lungo considerata malattia contagiosa o il male assoluto da allontanare in luoghi
sperduti, la follia è stata oggetto di dibattitto culturale, scientifico e terapeutico negli ultimi
quarant’anni. Prima di allora la follia veniva spesso confusa e cavalcata come un’opportunità per
allontanare e confinare esseri umani sgraditi o scomodi. Là dove finivano gli assassini, gli psicopatici
e i serial killer arrivavano anche i bambini troppo irrequieti, gli orfani, le donne incinte, gli oppositori
politici. Un insieme pericoloso e innocuo allo stesso tempo, un gruppo sociale spesso abbandonato a
se stesso.
A imbattersi in questi fantasmi c’è una giovane donna, che negli anni ‘90 varca volontariamente la
soglia di questo girone infernale, decisa a visitare gli spazi remoti di questo edificio insieme a un
gruppo di operatori psichiatrici. Quello che si para davanti ai loro occhi va oltre la sfera
dell’immaginazione. Più di mille pazienti di cui 180 bambini tenuti a bada solo da due psichiatri,
qualche infermiere, un guardiano. Nelle enormi stanze spoglie i pazzi producono rumori, odori, versi
sconosciuti e ancestrali, convertono in paura e ribrezzo gli slanci filantropi dei nuovi visitatori. Le
ferite mentali e fisiche sono un tutt’uno e le condizioni di questi esseri sub-umani producono in ogni
avventore svariate reazioni emotive.
La prima verità è un romanzo diviso in quattro parti, ognuna di queste con una collocazione
temporale ben precisa, ma come in un viaggio si attraversano una dopo l’altra, si intrecciano, si
inseguono e si chiariscono a vicenda.
L’istituto di igiene mentale di Leros è realmente esistito. Era stato fondato nel ‘59 per accogliere i
pazienti psichiatrici ritenuti incurabili. Questa finalità non ha impedito che nel tempo ci finissero
anche numerosi dissidenti politici durate il regime dei colonnelli. Ora su quelle spiagge greche
approdano i barconi dei migranti, lanciati spesso senza timoniere contro il continente europeo. Una
tragedia senza precedenti, un nuovo “tempo dei mostri” dice qualcuno.
Oggi molti manicomi non ci sono più. I pazzi girano per le strade. E tutti gli altri? Gli altri vivono di
farmaci, alternano momenti di lucidità ad altri di sofferenza emotiva, placata da fiumi di
benzodiazepine. Ma Simona Vinci si chiede e ci chiede: quanti se ne sarebbero potuti salvare? Quanti
erano là dentro senza essere pazzi? (recensione a cura del Comitato Organizzatore)



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